L’impegno biblico di mons. Ghiberti

Una fisionomia di spessore, nelle parole dei biblisti della Facoltà

Nel 2009 uscì presso l’editore Effatà una miscellanea in onore di mons. Giuseppe Ghiberti e mons. Renzo Savarino, che celebrava il compimento del loro 70° anno di età. Alcune pagine furono dedicate dai biblisti ed esegeti della sezione torinese della Facoltà teologica per descrivere il Ghiberti biblista. Ora alla sua morte, è piacevole rileggere quelle parole, che ne tratteggiano l’opera e la ricerca. Ne forniamo un piccolo cameo, come invito alla lettura o alla rilettura di quelle pagine.

Il lavoro di esegeta

«L’ascolto è sempre accompagnato da un’interrogazione del testo. L’equilibrio fra i due aspetti è indubbiamente difficile, per evitare gli eccessi di una ripetizione pigra e disincarnata o di una forzatura irrispettosa dell’intenzione originale. Ma è certo che un testo tanto più parla quanto più lo si interroga. Occorre dunque sapere quali domande rivolgergli. Il processo ermeneutico completo richiede all’ascoltatore della Parola, oltre alla familiarità col mondo biblico, anche sempre la familiarità col proprio mondo, proprio per sapere quali domande possano essere utilmente poste al testo. Questi due aspetti hanno influenzato il lavoro esegetico di Ghiberti: l’ascolto della Parola rende attenti anche al mondo nel quale si vive, come la sensibilità ai problemi dell’oggi aumenta l’attenzione e la capacità di penetrazione del messaggio biblico. Dalla familiarità con i due interlocutori nasce una possibilità di annuncio e di mediazione particolarmente viva.

Per Ghiberti, il compito proposto all’esegesi neotestamentaria contemporanea è il programma di piena restituzione a Gesù del suo carattere ebraico, con il recupero di quei filoni di riflessione cristologica neotestamentaria trascurati nel pensiero occidentale, unito all’evidenziazione del carattere innovatore della comparsa di Gesù nella storia. Se per volontà divina Gesù Cristo è stato stabilito come l’assoluto della salvezza del mondo, non sarà evitabile la conseguenza della relativizzazione di ogni altro valore (dal culto alla prassi legale, dalla terra al popolo stesso), pur nella salvaguardia di una economia di segni specifici e di un amore di primogenitura.

C’è una speranza per l’esegesi? Ghiberti lo crede, anche se è consapevole che ai problemi strettamente esegetici si contrappongono anche quelli di natura ecclesiale; il proposito di un servizio di testimonianza si scontra spesso con la difficoltà di interessare un interlocutore culturalmente indifferente».

Maria Rita Marenco

Le convinzioni di un biblista

«Che cosa serve agli studenti di corsi di esegesi biblica? Tra i molteplici aspetti implicati nella risposta che ogni biblista dà a questa domanda con l’impostazione stessa del suo insegnamento, sono tre quelli che intendiamo evidenziare guardando alla pluriennale docenza di don Ghiberti.

Innanzitutto, la convinzione che primo obiettivo (e primo strumento) dei corsi biblici sia la familiarità con il testo, che non è mai raggiunta in forma definitiva e che deve mirare a divenire in qualche modo connaturalità di pensiero con il testo stesso. Tutta la strumentazione esegetica è finalizzata all’acquisizione di tale familiarità. Non a caso, nell’impostazione dei suoi corsi è rimasta costante l’insistenza sulla lettura del testo biblico e sulla sua acquisizione nelle linee di fondo.

Per quanto riguarda la questione metodologica, don Ghiberti non l’ha mai posta al centro della sua docenza, né ha compiuto al riguardo opzioni esclusive, consapevole che i contesti in cui ha insegnato non avevano di mira la formazione di esegeti, ma di teologi o di cultori di letteratura antica. In questa prospettiva, il suo commento ai testi biblici si è servito delle metodologie idonee ai differenti testi in esame, preoccupandosi di offrire i frutti delle indagini più che la precisione dei singoli passaggi (sempre presupposta, ma solo parzialmente offerta nel suo insegnamento). La sua prospettiva privilegiata è rimasta quella storico-critica, sia per la sua formazione di partenza, sia per la dimensione storica di molte questioni poste dallo stesso testo biblico. Allo stesso tempo, nel suo insegnamento le considerazioni di ordine storico-filologico restano funzionali alla comprensione e all’acquisizione dei contenuti teologici dei singoli libri e delle singole pagine.

Evidenziamo, infine, un’ultima convinzione presupposta alla docenza di don Ghiberti: la natura teologica della ricerca esegetica. Per il Nostro, non esiste esegesi autentica che non sia teologia: è emblematica, al riguardo, una sua testimonianza diretta [G. GHIBERTI, Esegesi del Nuovo Testamento, in La Teologia del XX secolo: un bilancio. 1. Prospettive storiche (a cura di G. Canobbio – P. Coda), Città Nuova, Roma 2003, p. 132].

L’esegesi è teologia? L’esegeta è teologo? Domanda non oziosa, per- ché s’incontra non tanto raramente l’ingenua concezione dell’esegeta tecnico della ricerca linguistica (ma nei confini di quella che talora si chiama la “filologia bassa”), della ricostruzione testuale del documento antico, nei casi migliori anche della storia della sua formazione. Se invece l’esegeta si riconosce un compito che giunge a un completo servizio di determinazione del senso, non può non constatarne le dimensioni e rimanere estraneo a un esercizio di almeno iniziale sistemazione sintetica. Più di ogni altro filologo l’esegeta biblico diventa per necessità e per tradizione anche ideologo, sistematico, teoreta. E poiché la “teoresi” si porta sul rapporto che corre tra Dio e l’uomo, l’uomo e Dio, il “teoreta” non può non essere teologo.

Potrebbe essere utile interrogarsi su quanto tale prospettiva risenta dell’oggetto – gli scritti neotestamentari – preso in considerazione dall’Autore (con i libri dell’AT la sistemazione sintetica risulta meno scontata) o su come si possano distinguere esegesi, teologia biblica e teologia tout court stanti le suddette affermazioni. Resta significativa della docenza di don Ghiberti la convinzione che l’esegesi del testo biblico sia già, di per sé, teologia. Rimane aperta la questione, per lui come per tutta l’esegesi contemporanea, di come declinare in modo adeguato il passaggio (talvolta articolato e complesso) dall’analisi del singolo libro al confronto con l’insieme della rivelazione biblica».

Gian Luca Carrega
Germano Galvagno